lunedì 14 novembre 2011

Flessibilità a senso unico


Si fa un gran parlare negli ultimi anni, e ancor di più dall'inizio della crisi del debito, di come l'Italia abbia un mercato del lavoro ingessato, per cui per l'occupazione non cresce.
La teoria di fondo è che i lavoratori a tempo indeterminato hanno troppi diritti (sic). Cancellandone qualcuno si può fornire una qualche minima protezione ai giovani precari, in modo da renderne un po' meno incerto il futuro.
Ma spiegatemi una cosa.

Se sono precario e senza futuro, me la prendo con mio padre che fa l’impiegato da 30 anni nello stesso posto con praticamente lo stesso stipendio, da vent’anni (grazie anche ai cari progressisti) non adeguato neanche all'inflazione?
Se poi vogliamo fare i tecnici e guardare ai dati, basta guardare al seguente grafico OCSE sull'indice di protezione dei lavoratori.


Employment Protection in 2008 in OECD and selected non-OECD countries*
Scale from 0 (least stringent) to 6 (most restrictive)

Click here to downlad the data

L'Italia è in mezzo, poco sopra la media, con un mercato meno rigido di Francia, Germania, Spagna e molti altri, tra cui anche l'India.
Allora, è chiaro come ci stiano malevolmente mentendo.
La verità è che i lavoratori sono già molto flessibili, mentre è l'offerta di posti di lavoro ad essere ancora molto rigida. Le aziende assumono solo persone alle prime armi, da inserire tramite apposita gavetta (paragonabile al nonnismo militare) fatta di stage, contratti atipici, partita iva e contratti di inserimento.
E' stata pretesa flessibilità estrema dai lavoratori, senza fornirne alcuna da parte delle aziende.
Si cerca dunque, come al solito, di scatenare una "guerra fra poveri" per distrarre l'attenzione dai veri colpevoli. Un film già visto migliaia di volte. Siate più originali.

PS: ne parlavo già qui.

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